Disagio abitativo e riqualificazione urbana e aree verdi, Panaro: “la casa è considerata ancora un bene rifugio?”

Tutte le città italiane hanno subito trasformazioni importanti, soprattutto le mete turistiche sono prese d’assalto da viaggiatori che provengono da tutto il mondo e tale presenza ha modificato la vita quotidiana dei residenti, in particolare di quelli che abitano nel centro storico. Come si fa a capire quanto tutto questo influirà sulla vita degli italiani?

Nell’immediato non è possibile capire questo fenomeno, tuttavia la questione ‘casa’ rappresenta al meglio il legame che c’è tra iperturismo e forme di vita. Sarah Gainsforth, definisce la casa come “bene rifugio”, ovvero un investimento riferito per lo più alla classe media che, con il passare del tempo, si è trasformata in una vera e propria speculazione edilizia e, per i grandi investitori, una enorme fonte di guadagno.

Il modello che ci troviamo di fronte vede coinvolte una moltitudine di variabili tra cui : la crisi abitativa, l’aumento delle disuguaglianze con il conseguente impoverimento dei diritti in genere e, per finire, il turismo di massa. La casa non è più un bene di prima necessità ma è diventato un mercato per pochi privilegiati che desiderano fare i propri investimenti finanziari, il risultato è: 

– chi già possiede case e immobili tende ad acquistarne sempre di più e le possibilità di locazione delle stesse, riguardano un breve periodo; al contrario i cittadini sprovvisti di casa ne rimangono senza e gli aiuti previsti dal pnnr finiscono per incentivare il privato e non la cosa pubblica.

La questione abitativa è sempre più centrale nell’accompagnamento delle fragilità, avere una casa significa avere una protezione, un rifugio che serve a promuovere la dignità, il benessere, l’empowerment, rafforza l’inclusione promuovendo così una vita attiva e partecipata. Il disagio abitativo si accompagna spesso con l’incertezza economica, marginalità sociale, vulnerabilità sanitaria ed esclusione sociale.

I dati Istat del 2024 rilevano che sono circa un milione le famiglie povere che sono in affitto e sempre l’Istat rileva che il 5,9% vive una situazione di continua emergenza, di vita malsana in ambienti sovraffollati con veri e propri problemi strutturali che riguardano spesso : l’assenza di acqua corrente, accompagnata frequentemente dalla mancanza di servizi igienici adeguati e problemi di scarsa luminosità. La crisi abitativa passa attraverso un braccio di ferro che vede coinvolte da una parte le politiche sociali e dall’altra le politiche neoliberista orientate al libero mercato, riducendo al minimo l’intervento statale. 

L’edilizia sociale è andata in frantumi e tutti gli spazi che prima erano destinati all’innovazione alla produzione e alla stessa fruizione culturale sono stati sottratti alla collettività e destinati ad esaudire le esigenze di pochi!

Il mondo è cambiato e tutto quello che ci circonda con esso. Le banche entrano sempre di più in cose che riguardano le politiche sociali e della collettività. La casa è diventato lo strumento per misurare il disagio sociale. Siamo di fronte alla logica del mercato del ricavo, un’economia che ha preso piede grazie alla complicità del sistema legislativo sociale politico che mira alla rendita e non alla riqualificazione dei territori. Una buona strategia per la casa deve mirare a risultati che dovranno diventare gli indicatori futuri. I risultati primari riguardano: 

-Ridurre il disagio abitativo e assicurare a tutti abitazioni di qualità 

-mettere le abitazioni in sicurezza dai sismi nelle zone interessate;

-ridurre le emissioni energetiche, abbattere la povertà energetica e quindi ridurre i costi per le famiglie;

-in ultimo attivare tutte quelle strategie integrate per una vera e propria rigenerazione urbana attraverso servizi di vario tipo,tra cui la programmazione di un’edilizia residenziale pubblica.

Un altro fatto importante riguarda la riqualificazione delle aree verdi come elemento strategico dello sviluppo urbano sostenibile. Il verde urbano rappresenta un elemento chiave tra le dotazioni di servizi e attrezzature che le città devono possedere per garantire agli abitanti zone di ricreazione ma anche zone di svago passivo ( fruizione visiva olfattiva uditiva della natura in genere).  Il tema del verde urbano in Italia non fa eccezione, infatti una città che cresce a velocità esponenziale e non si dota al tempo stesso di attrezzature necessarie per colmare la pressione del costruito, si troverà molto presto con un habitat sconvolto e una società traumatizzata e scontenta a sua insaputa. Monopoli ne è l’esempio lampante. Da anni il territorio è preso d’assalto dalla cementificazione senza criterio, a scapito delle aree verdi che diventano sempre di più esigue , mentre quelle già esistenti attraversano momenti di vera incuria.

Molto spesso la vegetazione urbana è ridotta a piante ornamentali. La piantumazione del verde deve partire partire da un vero e proprio progetto di riqualificazione per evitare l’impianto di specie vegetali che nulla hanno a che fare con il territorio. Occorre diffondere una cultura di responsabilità progettuale, gli alberi nella riqualificazione urbana rappresentano un elemento attivo che interagisce col territorio col clima con le dimensioni sociali ed estetiche della città stessa. Quando verrà riconosciuto il valore attivo delle aree verdi all’interno di una città, allora potremo finalmente aspirare al concetto di aree urbane confortevoli e a misura d ‘uomo.

Lettera ricevuta da Cosimo Mimmo Panaro

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